Documento del Consiglio Direttivo SIRA sulla Riforma dei Saperi

Feb 3, 2022 | comunicazioni


L’organizzazione dell’Università italiana, basata su settori disciplinari, concorsuali e macrosettori, è un sistema che risponde a molteplici finalità e che dovrebbe rispecchiare l’auto-organizzazione del mondo scientifico in comunità di ricerca e in aggregazioni di competenze, anche ai fini della didattica.

La rigidità dello schema può essere un limite alla libera evoluzione della ricerca scientifica, e certamente le regole che i settori si danno sono soggette a processi di adattamento – per il necessario adeguamento a mutate condizioni, ma anche per ragioni di opportunismo – tali da richiedere periodiche revisioni delle regole stesse per evitare effetti indesiderati.

Appare quindi comprensibile che a distanza di decenni dalla loro definizione, alcune regole siano riviste: è importante a questo scopo tenere conto che anche le revisioni parziali producono retroazioni all’interno di un sistema diversificato e complesso come quello universitario, che ormai travalica i confini nazionali.

Il confronto con i sistemi universitari stranieri è sempre stimolante e ormai quotidiano, ma proprio la profonda conoscenza delle differenze deve mettere in guardia da soluzioni estemporanee, che non tengano conto di alcuni vincoli fondamentali e di quelle specificità italiane che costituiscono non un limite, ma un vantaggio competitivo. L’art. 14, comma 2, del DL 6 novembre 2021 n. 152 ha indicato che, tra le misure per l’Università inserite nel PNRR, “si provvede alla razionalizzazione e all’aggiornamento dei settori scientifico-disciplinari, nell’ambito dei quali sono raggruppati gli insegnamenti, anche al fine di assicurare la loro rispondenza agli elementi di flessibilità e di interdisciplinarietà di cui al comma 1”. Non è scritto che la razionalizzazione e l’aggiornamento degli SSD significa il passaggio dai settori ai macrosettori, ma da anni della riforma della classificazione in settori si parla, ponendo il tema della numerosità delle discipline, che si ritiene eccessiva, e denunciando le difficoltà di funzionamento di settori troppo poco numerosi.

Nel 2018 il processo si arenò, anche a seguito della presa di posizione dell’Area 08 – Ingegneria Civile e Architettura, riassunta in un documento redatto da L. Rosati, C. Occelli e M. Marzo, che conserva tutta la sua validità.

Tuttavia, a fronte dell’odierna congiuntura, più che entrare in un dibattito che può vedere buoni argomenti dall’una e dall’altra parte, il Consiglio Direttivo della SIRA intende cogliere l’occasione per una riflessione sulla identità del settore di competenza, anche per contribuire ad una futura più chiara definizione del profilo del docente della disciplina Restauro.

A tal fine, interessa rilevare che i processi di riforma degli ultimi anni hanno peccato di autoreferenzialità, approfittando della rigidità delle classificazioni proprio per riservare maggiori spazi ad alcune discipline a scapito di altre, spesso prendendo in carico con grave ritardo le richieste di competenze più ampie su ambiti condivisi e di nuovi profili formativi che andavano emergendo dalla società e dal mercato.

A tali rigidità e ritardi delle discipline e dei programmi si è spesso sopperito con costosi e poco regolamentati master post-laurea. In questo quadro il settore del Restauro (architettonico) si è trovato ad essere penalizzato fin dalla riforma degli studi di architettura del 1986: fu necessario difendere la sua differenza dalla Progettazione intesa come produzione di nuova architettura, ma si ingenerò una improvvida assimilazione alle discipline storico-critiche, che ha finito per mortificare la propensione operativa e concretamente progettuale che è tipica della disciplina del Restauro.

La rilettura del dibattito di quegli anni è tuttora illuminante per comprendere quanto radicati siano gli equivoci che ancora oggi minacciano la classificazione disciplinare del Restauro, essendo la classificazione disciplinare la base di tutte le regole che condizionano l’esercizio e la valutazione della didattica e della ricerca.

L’attuale classificazione del Restauro in termini di Settore concorsuale e Macrosettore ha ragioni culturali e pratiche in parte superate dall’evoluzione disciplinare degli ultimi decenni.

In primo luogo, il Restauro è una disciplina progettuale ed operativa, e questa premessa non può essere oscurata dalla centralità della conoscenza come specifica premessa metodologica: tutte le attività conservative hanno come fondamento lo studio, ma la concretezza del rapporto con la fabbrica è il carattere distintivo, che fa dell’esperienza di Restauro un momento essenziale nell’odierno percorso formativo dell’architetto, fra l’altro unica figura professionale riconosciuta per legge ad operare interventi di conservazione e restauro, nella progettazione, come nella direzione lavori. Un rapporto che le altre discipline progettuali rischiano di trasferire in un mondo virtualizzato, in cui il momento esecutivo finisce delegato senza controllo.

In secondo luogo, proprio la concretezza dell’approccio progettuale fa del Restauro un laboratorio sfidante per l’applicazione di tecnologie scientifiche di analisi e metodologie avanzate di modellazione e gestione, dalle indagini chimico-fisiche, ai modelli strutturali ed energetici, alle tematiche valutative e gestionali, nella didattica e nella ricerca.

In terzo luogo, di conseguenza, la ricerca nell’ambito del Restauro ha assunto caratteristiche multidisciplinari e interdisciplinari, differenziando sempre più lo stile di ricerca scientifica e pubblicazione del settore rispetto a quello praticato negli altri settori attualmente accorpati, con frequenti problemi di competenza in fase di valutazione.

In quarto luogo, il Restauro ha sofferto e soffre, come altre discipline progettuali di Area 08, delle regole vigenti sul tempo pieno, che condizionano soprattutto la fase di formazione dei futuri docenti, limitando le esperienze concrete e applicative, che poi dovrebbero costituire il cuore della didattica. Forse questo punto non è oggetto della Riforma della classificazione dei saperi, ma non può essere trascurato nel valutare le ipotesi di accorpamento in macrosettori, evidenziando similitudini e differenze che comportano rischi di diversa natura, dovendo riconoscere nell’esperienza sul campo anche un importante parametro valutativo.

In quinto luogo, la ricerca sul progetto di restauro e sui suoi esiti concreti in termini di sostenibilità ha ampliato la visione su restauro, conservazione e valorizzazione in senso sia territoriale che temporale, integrando temi di carattere gestionale e sociale ormai irrinunciabili.

La lista potrebbe essere ancora lunga, ma il punto che non si può rinviare concerne il riconoscimento della centralità strategica del Patrimonio culturale nel sistema Italia e quindi della centralità delle attività conservative per il Patrimonio culturale. Il Restauro rappresenta in Italia un settore ben individuato, nel quale il nostro Paese gode di un meritato peso riconosciuto in ambito internazionale e di una posizione di soft power, legata alle pratiche virtuose e all’esistenza di una comunità scientifica di lunga tradizione ed elevata qualità. Se nel Cluster 2 di Horizon Europe è presente la parola chiave “Cultural heritage” lo si deve alle pressioni effettuate in questo senso dall’Italia, specialmente in occasione dell’anno europeo del patrimonio architettonico (2018), e alla coerenza con la strategia della New European Bauhaus lanciata dalla Commissione Europea. Per tutte queste ragioni, riteniamo che il nostro caso confermi come l’ipotesi di passaggio a “Macrosettori” più ampi debba perseguire non una logica banalmente numerica, in base a frettolose motivazioni di carattere burocratico del resto facilmente superabili, ma una strategia più attenta alle ragioni culturali ed economiche e, in senso più ampio, agli interessi nazionali.

In questa direzione, la proposta che avanziamo è di collocare il Restauro al centro di un macrosettore che veda come fulcro l’operatività nella conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, proseguendo nella logica riformatrice che ha portato nel 2004 all’emanazione, nell’ambito del Codice dei Beni culturali, di norme specifiche sulle professioni relative al patrimonio culturale, già oggetto della convenzione europea di Granada, e oggi di riflessioni congiunte a livello europeo (ad esempio con il Progetto CHARTER).

In tale settore, tenendo conto del quadro internazionale e delle tendenze praticate nella comunità scientifica, troverebbe spazio il compimento della riforma attuata con il Codice 42/2004 e con l’attivazione dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico per la formazione e per l’abilitazione alla professione di restauratore di beni culturali nella classe di laurea LMR02, in nome di una miglior tutela del patrimonio culturale.

Nella nostra visione la conservazione del patrimonio culturale è un servizio di pubblico interesse che si attua attraverso un processo organicamente strutturato e qualificato, cui contribuiscono differenti competenze, differenti soggetti istituzionali e due livelli di governo, ed è chiaro che il livello qualitativo degli interventi di tutela dipende principalmente dalle competenze in gioco, dal capitale umano formato nelle università.

Dovrebbe essere a tutti chiara la necessità che gli architetti abbiano una competente preparazione in tema di restauro architettonico (oppure si riformi la legge sulle professioni, risalente a un Regio decreto del 1925, e si riservi l’intervento sul patrimonio architettonico di valore culturale non semplicemente all’architetto, ma all’architetto qualificato), che gli ingegneri civili ed edili (che sempre più spesso si trovano impegnati nel gestire gli aspetti strutturali degli interventi sul patrimonio costruito, tutelato e non) abbiano anch’essi una formazione di base che orienti il loro agire in un’ottica conservativa, e che i restauratori di beni culturali abbiano una preparazione anch’essa di livello universitario quinquennale (EQF 7).

Questo richiede che l’insegnamento del restauro nei corsi di laurea LMR02 sia al più presto affidato non più attraverso contratti esterni precari, come è stato finora, ma attraverso il consolidamento accademico che consenta stabilità, coerenza con il percorso quinquennale e consolidi l’orientamento alla ricerca e alla collaborazione con le discipline scientifiche coinvolte nel processo. In altre parole, queste sono le premesse di una riforma che è stata avviata, ormai irreversibile, che ha dato luogo a numerosi corsi di laurea di antica o nuova istituzione, ha consolidato il prestigio italiano a livello internazionale, e che tuttavia appare ancora per alcuni aspetti incompiuta. Al contempo può essere l’occasione per adattare corsi di laurea di più lungo corso alle notevoli mutazioni del mercato delle competenze degli ultimi anni e, più in generale, alle rinnovate esigenze della società in termini di conservazione del patrimonio costruito.

Questo comporterebbe l’apertura di nuovi SSD, oppure, nello spirito di una vera riforma della classificazione dei saperi, la creazione di un Macrosettore che comprenda le discipline progettuali ed operative del Restauro, favorendo così la qualità della didattica anche in forme interdisciplinari, il coordinamento della ricerca, l’internazionalizzazione e la transizione verso stili di pubblicazione scientifica internazionalmente riconosciuti, e sia tendenzialmente aperto a comprendere anche quelle discipline critiche, analitiche, tecniche, gestionali e scientifiche che ormai da anni si riconoscono nella comunità scientifica, non ancora accademicamente classificata ma reale, che opera attorno al patrimonio culturale sotto l’egida del MIC.

All’interno del Macrosettore i diversi profili sarebbero chiaramente distinguibili e non sovrapponibili negli schemi didattici, mentre la contaminazione nella ricerca e nei contenuti sarebbe sicuramente positiva nell’interesse del patrimonio culturale, non solo nazionale.

Pertanto, la posizione del Consiglio Direttivo SIRA si compendia nei seguenti punti:

1. Gli obiettivi di flessibilità e interdisciplinarità devono giustamente riferirsi alla evoluzione delle esigenze della società, e a tal fine è importante che le regole operative dei macrosettori rispettino e valorizzino le specifiche competenze e specializzazioni, costitutive dei profili richiesti in uscita;

2. Nella definizione dei macrosettori è necessario guardare oltre i confini delle attuali aree, al fine di rispecchiare e sostenere le comunità scientifiche interdisciplinari che si sono costituite attorno ai grandi nodi della ricerca e dello sviluppo, come appunto il patrimonio culturale, senza preclusioni legate all’attuale collocazione delle singole discipline;

3. Nella nuova classificazione è auspicabile che possano trovare spazio proposte innovative, come quella di costituire un macrosettore che riconosca il carattere applicativo e progettuale del restauro architettonico, porti a compimento la riforma in senso accademico del settore del restauro dei beni culturali, e sia aperto alle molteplici componenti disciplinari che già concorrono a costituire una comunità scientifica operante sul patrimonio culturale, con particolare riferimento alla centralità sistemica di quello architettonico.


Questa proposta sarà sottoposta all’assembla della Società Italiana per il Restauro dell’Architettura al fine di pervenire ad un testo condiviso dall’intera compagine sociale.


Il Consiglio Direttivo SIRA

Stefano Della Torre, Politecnico di Milano, Presidente
Valentina Russo, Università Federico II di Napoli, Vicepresidente
Eva Coisson, Università di Parma

Sara Di Resta, Università Iuav di Venezia
Marina Docci, Università La Sapienza di Roma
Caterina Giannattasio, Università di Cagliari
Pietro Matracchi, Università di Firenze
Antonio Pugliano, Università di Roma Tre
Teresa Campisi, Università Kore di Enna, Segretario

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